venerdì 24 ottobre 2014

Recensione de "La contessa nera", di Rebecca Johns


Cari lettori, oggi voglio parlarvi di un bellissimo romanzo storico, che ha saputo tenermi incollata alle pagine fino alla fine e che mi ha fatto amare, per quanto possibile, uno dei personaggi femminili più oscuri e spaventosi della storia d'Europa. Se vi piacciono le storie basate su persone e fatti reali, dove il mistero si mescola alla follia e alle debolezze dell'animo umano, questo è il romanzo che fa per voi.


Trama: Ungheria, 1611. L'alba illumina l'imponente castello di Csejthe. Nella torre più alta, una donna vestita di nero è sveglia da ore. Il suo sguardo austero è rivolto verso una feritoia nel muro che mostra solo un piccolo squarcio di cielo. Questa è l'unica cosa che scorgerà per il resto della vita. Murata viva in quella stanza fino alla morte: così ha decretato il conte palatino. Ma la contessa Erzsébet Bàthory, per tutti una strega e un'assassina, non ha nessuna intenzione di accettare supinamente il destino che le viene imposto. Non l'ha mai fatto in vita sua.


La mia recensione:

"La contessa Dracula" o "Contessa sanguinaria", è così che la storia ricorda Erzsébet Bàthory, leggendaria serial killer ungherese vissuta tra il Sedicesimo e Diciassettesimo secolo.
Le sue vittime, all'incirca trecento, erano giovani donne di bell'aspetto e in età da marito, ragazze che lavoravano in casa sua e che la contessa, con l'aiuto dei suoi servi più fedeli, adorava torturare fino alla morte. Non sorprende, dunque, che la sua figura sia spesso accostata a quella di Vlad l'Impalatore, noto ai più come Dracula, né che siano molte le versioni legate alla leggendaria contessa ungherese.
Il libro di Rebecca Johns segue l'intera vita di Erzsébet, partendo dalla fine. Dalla prima pagina sappiamo già che è stata rinchiusa in una torre, condannata ad essere murata viva, con l'accusa di omicidio e stregoneria. Nella penombra della sua prigione, Erzsébet decide di scrivere al figlio Pàl, per raccontargli la sua versione dei fatti; la contessa, infatti, si dichiara innocente. O, per meglio dire, ritiene di aver agito sempre per ottime ragioni.

"Non ho fatto nulla che non mi spettasse per diritto di sangue e di titolo, né al conte palatino né a nessun altro. Erzsébet Bàthory, vedova di Ferenc Nàdasdy, figlia della più antica e nobile casata di Ungheria, non è una strega, una pazza, un'assassina o una criminale. E non ha nessuna intenzione di accettare supinamente il suo destino." (Tratto da "La contessa nera")

Tornando con la mente alla sua infanzia, Erzsébet descrive le sue tipiche giornate nella tenuta di Ecsed. Amava leggere e andare a cavallo e badava alle sue sorelle con amorevole cura, insieme a suo fratello maggiore, Istvàn, futuro signore di Ecsed. Aveva solo cinque anni quando la madre le disse che la sua bellezza era la qualità più importante che possedesse e che avrebbe dovuto mantenerla ad ogni costo per procurarsi un buon marito. 
Pur circondata dall'affetto dei familiari, fu testimone di episodi di estrema violenza: la madre era solita far lavorare le cameriere indisciplinate nude sotto il sole cocente e farle frustare; il padre una volta punì uno zingaro, accusato di pedofilia, facendolo seppellire vivo nella carcassa di un cavallo nei giardini del palazzo.
All'età di dieci anni, Erzébet perse suo padre e meno di un anno dopo venne mandata contro il suo volere a Sàrvàr, nella casa del suo futuro sposo, dove una suocera oppressiva e un istitutore fin troppo severo le fecero avvertire un profondo senso di solitudine e abbandono.


"Se avessi scelto io di soggiornare in quel posto, avrei potuto trovare una ragione per essere felice nella mia nuova casa, (...) dove un'anziana donna sola aveva deciso di tenermi con sé come una figlia. Ma quella notte e per lungo tempo in seguito non vidi altro che pareti di pietra imbiancate chiuse intorno a me: la più bella prigione del mondo, è vero, ma pur sempre una prigione."(Tratto da "La contessa nera")
Erzébeth Bàthory in un dipinto anonimo.

Sua unica amica e confidente fu la serva Darvulia, che con il suo aspetto sgradevole e dimesso conquistò subito il cuore della contessa; Darvulia non avrebbe mai potuto essere una minaccia alla sua vanità e divenne, col tempo, complice dei suoi misfatti.
Ad accrescere ulteriormente il suo disagio, la totale indifferenza di Ferenc Nàdasdy, il suo fidanzato, che sembrava non apprezzare i suoi gesti gentili né la sua decantata bellezza. Erzsébet si sentiva umiliata e offesa dalla sua noncuranza, e furiosa con le cameriere, che si vantavano tra loro di essere andate a letto con il padrone e che parevano ridere di lei in ogni momento. E saranno proprio quelle ragazze a scatenare il lato mostruoso della giovane signora. 
Seguiranno numerosi avvenimenti, che mostreranno come la solitudine, i tradimenti e gli inganni possano scatenare la più grande ferocia anche negli animi più sensibili.
L'autrice dipinge un personaggio estremamente umano e vulnerabile, ogni azione di Erzsébet è dettata dall'insicurezza e dal desiderio di essere amata. Con abilità, le azioni del "mostro" vengono raccontate come se fossero state del tutto ragionevoli. Il lettore si immedesima in lei, prova lo stesso vuoto e la stessa vergogna nel sentirsi traditi e rifiutati. Alla fine del romanzo, ho provato quasi pena per questa fragile donna murata viva e non ho potuto fare a meno di sentirmi triste per lei.

"Il mio nome è stato trascinato nel fango più di quanto potessi immaginare. Dicono che ho mangiato la carne delle mie domestiche, picchiandole con le mie stesse mani fino a ricoprirmi del loro sangue, usando incantesimi e pozioni contro il conte palatino (...). Mi hanno fatto diventare una donna vampiro, un abominio." (Tratto da "La contessa nera")

Per concludere, sento di poter consigliare questo romanzo al cento percento. I dialoghi sono affascinanti, le descrizioni dettagliate, ma mai noiose. Il coinvolgimento nelle vicende è totale e, anche se conosciamo già il finale, sono tanti i segreti che la contessa ci svela e che ci lasciano a bocca aperta. Assolutamente consigliato.

Voto: 8

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