mercoledì 18 marzo 2015

Recensione de "La fabbrica delle meraviglie" di Sharon Cameron

Cari lettori, la recensione di oggi riguarda "La fabbrica delle meraviglie", primo volume di una trilogia, scritto dalla talentuosa Sharon Cameron, che nel 2009 ha ricevuto il Premio Sue Alexander come Scrittrice più promettente di New York dall'Associazione degli Scrittori di libri per ragazziPremio più che meritato, aggiungerei. 

Trama: In una notte di nebbia Katharine arriva in una misteriosa tenuta vittoriana con l'incarico di controllare che l'eccentrico zio Tully non stia dilapidando il patrimonio di famiglia. Convinta di incontrare un uomo sull'orlo della follia scopre invece che lo zio è un geniale inventore e sostenta una vivace comunità di persone straordinarie come lui, salvate dai bassifondi di Londra. Aiutato dal giovane e affascinante Lane, Tully realizza creazioni fantasmagoriche: pesci meccanici, bambole che suonano il pianoforte e orologi dai mille ingranaggi. Ma Katharine comprende ben presto che una trama di interessi oscuri minaccia il suo mondo pieno di meraviglie e, forse, il destino di tutta l'Inghilterra.

La mia recensione:

Una Londra vittoriana, una villa misteriosa e piena di segreti, una protagonista tormentata, divisa tra cosa è giusto e cosa è vantaggioso per lei, sono gli ingredienti ideali per un libro "come piace a me", che m'incateni alle sue pagine e mi ossessioni fino a quando non è finito.

"Fu come trovarsi nella direzione sbagliata, come se correndo fra gli orologi mi fossi in qualche modo spostata all'indietro anziché in avanti, in un posto che non mi voleva. [...] Vidi anche due occhi neri che scintillavano in un viso pallido che fluttuava sopra la mia spalla. Gridai, mi tappai la bocca con una mano e mi voltai, mentre un grido si rivoltava beffardo riecheggiando contro di me." 


(Tratto da "La fabbrica delle meraviglie")

Katharine Tulman vive a Londra con la zia Alice, una donna egoista e leziosa, che la tratta più come una sua sottoposta che come una nipote. Quando la manda a verificare le condizioni della tenuta di Stranwyne, futura eredità del suo unico figlio, Katharine non ha altra scelta che obbedire: in quanto orfana e donna nubile sa di non poter sopravvivere senza il sostegno economico della zia ed è pronta a mettere da parte le sue opinioni personali per accontentarla. Tutto ciò che dovrà fare, le dice zia Alice, sarà pernottare a Stranwyne per qualche giorno e confermarle lo squilibrio mentale dello zio Tulman, attuale padrone della tenuta, per rinchiuderlo in un manicomio e prendere finalmente possesso dell'intero patrimonio di famiglia.

-Katharine- aveva detto mia zia. -C'è del lavoro da fare, per il quale credo tu sia la persona più adatta. "Sì, zia" avevo pensato. "Sono sempre la persona più adatta per i tuoi lavori. C'è una cameriera da rimproverare, un'altra collana da dare in pegno? O mio cugino Robert ha fatto qualcosa di sconveniente nel capanno degli attrezzi da giardino?" Soffiai sull'inchiostro fresco del libro mastro e posai la penna.
- Temo che tuo zio Tulman abbia perso il suo equilibrio mentale.
Aspettai, chiedendomi se mi avrebbe ordinato di aggiustare i meccanismi di una mente umana. 
(Tratto da "La fabbrica delle meraviglie")
Ma le cose si rivelano più difficili del previsto. Katharine si ritrova a soggiornare in una villa immensa, piena di oggetti antichi e di stanze dall'aspetto spettrale. Il personale domestico è disorganizzato e stranamente ostile, ogni membro del villaggio sembra riluttante a farle incontrare "il signor Tully", come hanno soprannominato suo zio.
Ma da ragazza ostinata quale è, Katharine riesce presto ad incontrare lo zio e resta assolutamente sbalordita da ciò che trova; quello che le era stato dipinto come un pazzo è in realtà un uomo geniale, che vive in un mondo tutto suo, fatto di numeri e macchinari complessi e una vita scandita dai rintocchi degli orologi e pause per il té.

- Zio - lo interruppi - questo... l'hai fatto tu? - Lui tirava la stoffa della giacca, scuotendo la testa. - No, questo giocattolo no. Non tutti i pezzi. Io faccio solo i calcoli e i disegni. Poi Lane prende i disegni e mi riporta i pezzi e io li metto insieme finché non sono come dovrebbero. Ma questo giocattolo non è uscito dalla mia testa, no. E' venuto dalla testa di qualcun altro, anche se non mi hanno detto come.La piccola figura di mia nonna da bambina fece una pausa e ricominciò la canzone, mentre il volto di mio zio si illuminava.- Sto pensando di farti vedere con cosa sto giocando ora. Viene dalla mia testa, ogni singolo pezzettino. Lane? Lane! Facciamolo vedere alla mia nipotina.Fui aiutata a rialzarmi e ripartii a passo svelto in quello zoo, chiedendomi vagamente quanti dei giocattoli in mostra erano persone "andate via".
(Tratto da "La fabbrica delle meraviglie")

Lo zio Tully è in assoluto il mio personaggio preferito nel romanzo. Nonostante l'età avanzata, è come un bambino, sempre perso nel suo universo di giochi e di divertimento. Non ha la minima idea della genialità delle sue invenzioni, per lui sono soltanto uno svago e, nel caso delle bambole meccaniche, un modo per ricordare i propri cari scomparsi. Lo zio Tully ricorda con affetto la madre, Marianna, che lo amava esattamente per ciò che era, e nella nipote rivede alcune qualità, che gliela rendono gradita dal primo istante.
Katharine si lega presto a questo zio dall'animo e dalla mente infantili e comincia a sentirsi in colpa per il piano di sua zia; il solo pensiero di suo zio, così affezionato ai suoi giochi e alla sua routine, rinchiuso in un manicomio, le spezza il cuore.

- Immagino - disse Lane dopo un po' - che per lei debba essere... sbagliato mentire a sua zia.- Risposi con un'esclamazione incredula e lui allungò un braccio e mi strattonò per fermarmi, costringendomi a voltarmi. - Allora perché non vuole mentire? Perché? Lei capisce suo zio! Meglio di me che mi occupo di lui da quando ero bambino. Se non vuole farlo per noi, allora, per l'amor di Dio, lo faccia per lui! - La sua voce risuonò contro il legno, il vetro e gli stucchi dorati. Aspettai che l'eco morisse prima di parlare.- Mia zia scoprirà la verità e porterà via zio Tully, qualsiasi cosa io dica. E anche Stranwyne. E se scoprisse che le ho mentito... Quando scoprirà che le ho mentito... mi lascerà in mezzo alla strada senza pensarci due volte. - Divincolai il braccio. - Non posso tenere zio Tully fuori dal manicomio e non posso tenere gli abitanti dei Borghi fuori dall'ospizio dei poveri. l'unica persona che forse posso salvare è me stessa. - Mi spinsi in avanti e mi allontanai da lui. Non ero Giovanna D'Arco. La sua voce mi giunse molto vicina. [...]- Menti per lui - disse. - Per favore, Katharine.
(Tratto da "La fabbrica delle meraviglie")

Un altro personaggio che ha catturato la mia attenzione è Lane, l'assistente dello zio Tully, un diciottenne di origini francesi, taciturno e misterioso. E' un artista molto abile, sa ricreare alla perfezione i modelli disegnati dal suo padrone e si preoccupa sempre di farlo felice.
All'inizio, quando Katharine arriva alla villa con l'obiettivo di distruggere la vita dello zio e di tutti quelli che lavorano per lui, Lane la tratta con freddezza ed evidente antipatia, ma poi impara a conoscerla e capisce che l'affetto della ragazza verso lo zio è sincero. Tra i due scatta un'intesa che potrebbe diventare qualcosa di più.
Ammetto che Lane è un personaggio difficile da decifrare. "Cosa sta pensando?", mi sono chiesta spesso. Lo paragonerei un po' al Signor Darcy di "Orgoglio e pregiudizio", se mi si passa il parallelo, perché ho rivisto in lui la stessa diffidenza e la stessa riservatezza, che pian piano sono evaporate per far posto a un rapporto onesto e fiducioso con la ragazza che fino a poco prima era tanto detestata. 

A complicare il soggiorno di Katharine a Stranwyne non sono solo i sensi di colpa verso lo zio o il rapporto conflittuale con Lane e i domestici. Strane cose accadono nella tenuta: misteriose risate, oggetti scomparsi e ricomparsi come per magia e, soprattutto, preoccupanti episodi di sonnambulismo e di perdita di memoria che fanno temere a Katharine per la propria salute mentale. Che il gene della follia sia ereditario?

Raddrizzai la schiena, rabbrividendo nella camicia da notte fradicia, anche se non ero certa che il tremito dipendesse dal freddo. - Zio - dissi lentamente - puoi dirmi... perché mi trovo qui?
Zio Tully si accigliò. - Tu sei confusa, nipotina. A volte la gente si confonde. Dimentica, commette degli errori. Tu hai dimenticato le scale.
Mi circondai con le braccia, cercando di smettere di tremare. - Ho dimenticato le scale?
- Sì! - Gli occhi di mio zio erano due punti azzurri nel buio. - Volevi scendere e ti sei dimenticata le scale. E non volevi ricordare. E poi ti sei messa a dormire e non ti svegliavi. Ti sei confusa. [...] 
Solo in quel momento colsi appieno l'orribile verità: se zio Tully non fosse stato lì, ad ascoltare ciò che gli dicevano gli orologi, il mio corpo sarebbe stato un mucchio d'ossa rotte sul pavimento della cappella. E non sarebbe stata colpa di nessuno, se non mia.
 

(Tratto da "La fabbrica delle meraviglie")

Leggere questo romanzo è stata un'esperienza meravigliosa. La scrittrice ha uno stile chiaro, ma complesso, ricco di descrizioni dettagliate che ti trascinano lentamente nel vortice della narrazione. Sharon Cameron ha creato questo piccolo mondo nel mondo, colorato e folle, pieno di personaggi misteriosi e accattivanti, che non sai se amare oppure odiare. 
E' quasi come essere nel Paese delle Meraviglie, con un Cappellaio Matto per zio, una cameriera chiacchierona e sorridente come uno Stregatto e lunghi corridoi di porte che nascondono formule segrete e macchinari complessi. Come Alice, Katharine dovrà trovare se stessa in mezzo alla follia e imparare che non sempre ciò che appare normale lo è e viceversa.
Se cercate il mistero, la follia e un'atmosfera neogotica tipicamente vittoriana, questo è il romanzo che fa per voi. L'unica pecca, se proprio devo trovarne una, è che stiamo parlando di una trilogia, dunque il finale è aperto e vi toccherà aspettare il prossimo libro per saperne di più.

Voto 8 1/2

Promosso





giovedì 5 marzo 2015

Recensione di "Questioni di pratica", di Julie James

Care lettrici e cari lettori, dopo alcune settimane di assenza torno sul blog per una nuova recensione. Il libro in questione è adatto per lo più ad un pubblico femminile, ma questo non significa che non possa interessare ai maschietti. Leggere questo romanzo è stato piacevole e divertente e, soprattutto, un'utile distrazione in un periodo così stressante e pieno di impegni. Se vi interessa saperne di più, leggete la recensione.





Trama:

Payton Kendall e J.D. Jameson sono avvocati dello stesso studio. Femminista convinta, Payton ha lottato per avere successo in una professione dominata dagli uomini. Ricco e presuntuoso, J.D. ha fatto del suo meglio per ignorarla. In pubblico sono inappuntabili. Devono esserlo. Per otto anni si sono tenuti a distanza di sicurezza e si sono tollerati solo per una ragione: riuscire a diventare soci dello studio. Tutto però cambia quando viene chiesto loro di collaborare a un caso importante. Costretti a lavorare gomito a gomito, si scoprono presto invischiati in un’insidiosa attrazione, ma l’offerta a cui più ambiscono verrà fatta a uno solo: la competizione si fa rovente e la battaglia dei sessi ha inizio…


La mia recensione:

In questi mesi ricchi di impegni universitari, esami e feste di laurea, è stato molto difficile dedicare del tempo alla lettura. Sono riuscita a ritagliarmi solo uno spazietto nel weekend, alcune settimane prima di un esame, desiderosa di immergermi in un libro leggero e romantico, che mi facesse ridere e sognare per qualche oretta.

"Questioni di pratica" è risultato perfetto per le mie esigenze. Non troppo lungo né pesante, è riuscito a regalarmi qualche attimo di relax con le sue scene comiche e le sue battute sferzanti.

Come suggerisce il titolo, la storia segue il rapporto burrascoso di due avvocati, Payton e J.D, che lavorano per la stessa azienda da otto anni e che nutrono una reciproca antipatia. 
Entrambi indossano una maschera di cortesia quando sono in presenza d'altri, maschera che cade appena si ritrovano da soli. 
Payton crede che lui sia arrogante e maschilista, J.D la ritiene una femminista polemica e rompipalle e non hanno timore di dirselo quando ne hanno l'occasione.
La cosa più assurda è che entrambi non hanno idea di come sia iniziata questa faida.

- Penso che tu sia un bastardo sessista, borghese e supponente, di quelli che pretendono ancora che la moglie porti il loro cognome. J.D. le afferrò la mano e gliela scostò. - Almeno non sono una feminazi testarda e manipolatrice, convinta che casalinga sia una parolaccia!
 (Tratto da "Questione di pratica")

Tutto cambia quando il loro capo li costringe a lavorare insieme su un caso importante. Il nuovo cliente è un pezzo grosso che non si lascia abbindolare dai soliti trucchetti da avvocato. Durante una cena di lavoro, l'uomo chiede loro di descrivere l'uno i pregi dell'altro, per capire se siano davvero la squadra migliore che si possa avere.
Questa richiesta, per quanto piccola, sconvolgerà completamente il loro rapporto, sarà come una palla di demolizione che darà il primo colpo al muro che li separa.
Payton è costretta ad essere onesta, a mettere da parte i rancori personali per dipingere J.D. al meglio: è un gran lavoratore, uno dei migliori nel suo campo, brillante e intuitivo.
La gentilezza di quelle parole sconvolge profondamente J.D. ed è come se la corazza che si sente obbligato ad indossare non fosse più necessaria. Non gli pesa riconoscere a sua volta i meriti di Payton e si percepisce da subito la nascita di un'intesa nuova.
Nel corso della narrazione, i due dovranno affrontare numerosi ostacoli, derivati soprattutto da molti malintesi e dal loro atteggiamento un po' infantile. Entrambi sembrano aspettarsi sempre il peggio l'uno dall'altro e non esitano a farsi dispetti per primeggiare.
Ma le parole gentili di quella cena li perseguiteranno per tutto il tempo, e a poco a poco impareranno a mettere da parte l'orgoglio e i rancori, a chiedere scusa quando necessario e a lavorare come una vera squadra.

- E' colpa di questo lavoro - Payton stava guardando fuori dalla finestra e, udendo la sua voce, si voltò verso di lui. - Litighiamo con la gente... ecco cosa facciamo. Ideiamo strategie contro gli avversari, cerchiamo di giocare sempre la mano vincente. A volte faccio fatica a staccarmi da tutto ciò - Si girò verso Payton e la guardò dritto negli occhi. - Sono stato molto scortese con te al ristorante. Ti devo delle scuse.  Colta di sorpresa, Payton dapprima non disse nulla. Lui continuava a fissarla senza battere ciglio. Aveva due occhi azzurri davvero fantastici. Payton non sapeva spiegarsi per quale motivo avesse formulato quel pensiero. Annuì. - Okay.                                    J.D. sembrava pronto ad affrontare una reazione ben peggiore. - Okay - disse, e le parve di vederlo sospirare di sollievo. Poi sorrise. Un sorriso sincero. 
(Tratto da "Questione di pratica")

Man mano che si conoscono, diventa sempre più difficile per loro odiarsi. Payton capisce che J.D. non è affatto un figlio di papà, viziato e privilegiato, ma che, anzi, fa di tutto per allontanarsi dalla figura schiacciante del padre, giudice severo e rispettato, per costruirsi una carriera meritata e non ottenuta per nepotismo.
E J.D. si rende conto che Payton è una donna dolce, oltre che forte, cresciuta con una madre dallo spirito rivoluzionario, che le ha insegnato a non fidarsi degli uomini e a combattere sempre per ciò che le sta a cuore. Alla fine, viene alla luce il motivo della loro reciproca antipatia e, anche se non vi dirò qual è, ha dell'incredibile.

Ho apprezzato davvero questo libro, che nella sua semplicità mi ha regalato tanto: prima di tutto, che se ci aspettiamo sempre il peggio dalle persone non riusciremo a vederne il meglio e, poi, che a volte l'orgoglio va messo da parte ed è bene chiedere scusa per primi.
Lo stile dell'autrice è lineare ed efficace, i personaggi sono descritti con bravura e sono così realistici che mi sembra proprio di averli incontrati di persona. Non mancano scene divertenti e imbarazzanti che lo rendono ancora più gradevole nella lettura. 
Se sentite il desiderio di un libro poco impegnativo, con dialoghi coinvolgenti, che vi facciano ridere, questa è la storia che fa per voi.


Voto: 7 e 1/2

Promosso