martedì 28 aprile 2015

Recensione di "Città di carta", di John Green

Buonasera, cari lettori e care lettrici. Nella recensione di oggi vi parlerò di un libro fresco e a tratti dolce, come può esserlo solo un libro che parla di amori adolescenziali. Si tratta di "Città di carta" di John Green, autore del famoso "Colpa delle stelle", che ha portato una ventata di primavera in queste mie grigie giornate d'aprile. Curiosi di saperne di più? Spero di sì.



Trama: Quentin Jacobsen è sempre stato in­namorato di Margo Roth Spiegelman, fin da quando, da bambini, hanno condiviso un’inquietante scoperta. Con il passare degli anni il loro legame speciale sembra­va essersi spezzato, ma alla vigilia del diploma Margo appare all’improvviso alla finestra di Quentin e lo trascina in piena notte in un’avventura indimenticabile. Forse le cose possono cambiare, forse tra di loro tutto ricomincerà. E invece no. La mattina dopo Margo scompare misteriosamente. Tutti credono che si tratti di un altro dei suoi colpi di testa, di uno dei suoi viaggi on the road che l’hanno resa leggendaria a scuola. Ma questa volta è diverso.

La mia recensione:

Avete mai avuto una cotta da bambini, per una compagna di banco o per un vicino di casa? Quentin sì. Ha diciotto anni ed è innamorato di Margo da quando ne aveva otto. Sua compagna di giochi e vicina, Margo gli appariva come la creatura più meravigliosa di tutte, con il suo spirito ribelle e la sua voglia di trasformare la sua vita in una sequenza interminabile di avventure.

"Un miracolo capita a tutti. Io la vedo così. Tipo, non sarò mai colpito da un fulmine, [...] non mi verrà un tumore maligno a un orecchio, non morirò per combustione spontanea. 
Se però proviamo a vederle tutte insieme, queste cose altamente improbabili, salta fuori che a ognuno di noi prima o poi ne capita almeno una. Quasi di sicuro. Io potrei aver visto piovere rane. [...] Potrei aver sposato la regina d'Inghilterra o essere sopravvissuto per mesi in mare. Ma il mio miracolo è stato un altro.
Il mio miracolo è stato questo: tra tutte le case di tutti i quartieri di tutta la Florida, mi sono ritrovato a vivere nella porta accanto a quella di Margo Roth Spiegelman."

(Tratto da "Città di carta")

Ma Quentin non è mai stato un tipo incauto e col passare degli anni questa sua natura tranquilla finisce per allontanarlo dalla sua più cara amica, nonché primo amore. Passa l'adolescenza ad ammirarla da lontano, mentre è circondata dai ragazzi più popolari della scuola, ascoltando i racconti delle sue fantasmagoriche avventure, delle sue fughe notturne verso qualche posto lontano. 
Margo è per lui un essere perfetto, una creatura ultraterrena che ha completamente dimenticato la loro amicizia o, semplicemente, la sua esistenza. Per questo si sorprende quando una sera, pochi giorni prima del ballo di fine anno, la vicina si arrampica alla finestra della sua stanza, chiedendogli di partecipare a una folle notte per le strade della città, per vendicarsi del suo fidanzato e della sua migliore amica, che sono stati a letto insieme, e di tutte le altre persone coinvolte nella faccenda.

"Stanotte, mio caro, raddrizzeremo molti torti. Ed estorceremo alcuni diritti. I primi saranno gli ultimi e i miti erediteranno un po' di Terra. Ma per poter cambiare il mondo in modo così drastico dobbiamo prima fare un po' di spese."
(Tratto da "Città di carta)

Passare l'intera notte in giro con Margo è un'esperienza unica per Quentin, terrificante certo, ma pur sempre meravigliosa. La sintonia che ritrova con la sua vecchia amica lo porta a sperare di poter tornare a frequentarsi anche a scuola e magari, col tempo, di diventare qualcosa di più. Ma il giorno dopo, Margo non torna a scuola. Scompare. I genitori non sono per nulla ansiosi di trovarla, poiché è ormai una donna adulta e una veterana in questo genere di bravate.
Invece Quentin è preoccupato, qualcosa nello sguardo che Margo aveva la notte precedente lo inquieta e gli fa temere che la ragazza, stanca di vivere in una "città di carta", finta e senza emozioni, voglia compiere un gesto estremo. Perciò, quando scopre alcuni indizi da lei disseminati per la casa, decide di volerla cercare. 

" - Però è strano... Senza offesa, ma ha sempre lasciato indizi per i suoi genitori, perché stavolta dovrebbe averne lasciati per te? -
Mi strinsi nelle spalle. Non avevo idea della risposta, ma ovviamente avevo le mie speranze: che Margo volesse mettere alla prova la mia fiducia; che magari stavolta volesse davvero farsi trovare, e farsi trovare da me; che magari, dopo avermi scelto per quella notte infinita, mi avesse scelto di nuovo."

(Tratto da "Città di carta)

Quentin chiede aiuto ai suoi migliori amici, Radar e Ben, sfigati della banda scolastica proprio come lui, che accettano volentieri di aiutarlo a ritrovare il suo unico amore, rassegnandosi all'ossessione che il loro amico sembra aver sviluppato per la sua ricerca. Perché di questo si tratta.
Quentin è un adolescente dolce e gentile, il classico bravo ragazzo che aiuta la madre con le buste della spesa e rispetta l'orario del coprifuoco, ma la ricerca di Margo lo ossessiona a tal punto da fargli perdere di vista tutto il resto. 
E' un punto del libro che ho trovato difficile da digerire, a essere sincera. Nonostante lo stile narrativo di John Green sia fresco e leggero e, in qualche modo, riesca sempre a toccarmi il cuore, nella parte centrale del romanzo si fa un po' ripetitivo. Insomma, ami Margo, sei preoccupato, vuoi ritrovarla, abbiamo capito!
Per fortuna, dopo un paio di capitoli fermi a un punto morto, la storia riprende. E che storia. Quentin e i suoi amici si mettono in viaggio per andare da lei e l'allegra brigata, bloccata in un mini-van con poco cibo e con loro stessi come unica fonte d'intrattenimento, è davvero divertente. Tra soste al bagno, incidenti quasi mortali con mucche pigre e giochi di ruolo ho desiderato con tutta me stessa essere lì con loro.
E durante il viaggio, Quentin ha modo di mettere insieme i tasselli della vita di Margo e capisce che, in fondo in fondo, non la conosce davvero. Cosa capiterà, allora, quando riuscirà a trovarla?


"Non ero riuscito a pensare a lei come a una persona che poteva avere paura, che forse si sentiva sola in mezzo a tanta gente, che magari si vergognava di condividere la sua collezione di dischi perché era una cosa troppo personale.
Una persona che divorava guide di viaggio perché voleva fuggire da una città in cui molti si rifugiavano. Una persona che non aveva nessuno con cui parlare perché nessuno l'aveva mai vista come una persona.
E tutt'a un tratto capii come si sentiva Margo Roth Spiegelman quando non era Margo Roth Spiegelman: vuota."

(Tratto da "Città di carta")

Mi fermo qui, perché meritate di scoprire da soli che fine abbia fatto Margo e cosa succeda a tutti gli altri. Vi dico solo che sono stata abbastanza soddisfatta dal finale, anche se avrei preferito qualche dettaglio in più, magari un epilogo.
Nel corso della narrazione sono riuscita a farmi un'idea precisa sulla "donna-angelo" di Quentin e, lasciatevelo dire, non mi è affatto simpatica. Leggendo, ho avuto l'impressione che Margo sia una ragazza egoista e viziata, che non si cura delle persone che tengono a lei, ma solo di se stessa. Non si è fatta scrupolo ad abbandonare i genitori, la sorellina e gli amici senza uno straccio di biglietto o telefonata, non importa quali fossero i motivi che l'abbiano spinta a farlo. Quentin è troppo buono per lei, e per tutto il romanzo ho pensato "In qualunque modo finisca tra loro due, lei non merita il suo amore".

In generale, mi sento di consigliarvi questo romanzo, anche se, come vi ho detto, non è perfetto. Ma se riuscite a tener duro nella parte centrale e a sopportare l'ossessiva ricerca del protagonista della sua donzella perduta, vi assicuro che la lettura sarà molto piacevole
John Green ha l'abilità di trascinare i suoi lettori indietro nel tempo, facendo rivivere l'adolescenza e i forti sentimenti ad essa legati con una vividezza che lascia senza fiato. Ad ogni battibecco tra Quentin e i suoi amici mi è sembrato di tornare sui banchi di scuola, a quando la vita si riduceva a compiti, risate e pomeriggi a sognare a occhi aperti un amore impossibile.


Voto: 7
Promosso

Vi lascio con una notizia. A settembre 2015 uscirà il film di questo romanzo. Non vedo l'ora! Magari, dopo averlo visionato, farò un post per analizzare la trasposizione dalla carta alla pellicola. Ecco il link del trailer:



E voi? Avete già letto questo romanzo? Se sì, cosa ne pensate? Altrimenti, vorreste leggerlo? Fatemi sapere. A presto.




lunedì 13 aprile 2015

Recensione di "Lo straordinario mondo di Ava Lavender", di Leslye Walton

Care lettrici e cari lettori, dopo un paio di settimane di riflessione sono finalmente pronta a parlarvi di questo romanzo così speciale e fuori dal comune. "Lo straordinario mondo di Ava Lavender", nato sotto forma di racconto, è frutto della mente della bravissima Leslye Walton, che con questo suo romanzo d'esordio ha conquistato numerosi premi e il cuore di molti lettori. Compreso il mio.

Trama: Ava Lavender è nata con le ali, ma non può volare. Non può nemmeno vivere come le coetanee, perché sua madre la tiene chiusa in casa, al riparo da occhi indiscreti. Ma ha sedici anni e non si rassegna ad essere diversa. 
In cerca di un perché, scava allora nel passato della sua famiglia e scopre il destino infausto delle sue antenate: ognuna segnata da una peculiare stranezza, ognuna condannata a un amore infelice. 
E se fosse proprio l'amore la forza in grado di spezzare quell'antica maledizione? Un amore vero, capace di vedere oltre le apparenze. Per trovarlo, Ava dovrà affrontare il mondo fuori, gli sguardi di chi la crede un mostro o un angelo. Fino alla notte del solstizio d'estate, quando sarà lei a scrivere un nuovo, forse decisivo capitolo nella storia straordinaria della sua famiglia.


La mia recensione:


"Molti mi consideravano l’incarnazione di un mito, la personificazione di una magnifica leggenda, una favola. Alcuni mi giudicavano un mostro, una mutazione. Per mia grande sventura, una volta mi scambiarono per un angelo. Per mia madre ero tutto. Per mio padre, niente di niente. Per mia nonna ero la testimonianza vivente di amori perduti nel tempo. Ma io conoscevo la verità, l’avevo sempre saputa. Ero soltanto una ragazza. "
(Tratto da "Lo straordinario mondo di Ava Lavender") 

Inizia così questo piccolo capolavoro della letteratura contemporanea. Poche e semplici parole sono state più che sufficienti a farmi immergere nell'universo magico e straordinario di Ava Lavender.
Quest'ultima è la nostra narratrice, una sedicenne nata con le ali, vissuta sempre al sicuro tra le quattro mura di casa sua, che desidera capire quale sia l'origine della sua nascita straordinaria, raccontando la vita dei suoi familiari, i loro amori e le loro vicissitudini, fino ad arrivare al suo presente. I primi ad esserci presentati sono i bisnonni, Beauregard Roux e sua moglie, immigrati francesi che speravano di trovare fortuna e ricchezza a New York.

"Beauregard vendette il suo ambulatorio e acquistò sei biglietti di terza classe per il viaggio inaugurale dell'SS France, uno per ogni membro della famiglia, eccezion fatta per la capra, naturalmente. Insegnò ai figli a contare in inglese da uno a dieci e, sull'onda dell'entusiasmo, disse loro che le strade in America erano diverse da qualunque cosa avessero mai visto, non ricoperte di terra battuta come quelle di Trouville-sur-Mer, bensì pavimentate con ciottoli di bronzo.- Oro - lo corresse mia nonna Emilienne. Se l'America era davvero il posto fantastico che sosteneva il padre, di sicuro le strade erano lastricate con qualcosa di meglio del bronzo. 
(Tratto da "Lo straordinario mondo di Ava Lavender")

Il racconto intreccia insieme le vite dei suoi bisnonni a quelle della nonna Emilienne, una donna bellissima e dal carattere deciso, che una serie di dispiaceri e delusioni amorose porta a diventare una figura solitaria e scostante.
Ava narra la sua vita passo passo, giungendo alla nascita di sua madre, Viviane, una donna gioiosa e desiderosa di avventure, che perde i suoi colori e la sua passione per la vita a causa del mal d'amore.
La nostra narratrice arriva finalmente a parlare di sé, della sua nascita straordinaria, del suo fratello gemello, Henry, nato senza ali ma comunque unico nel suo genere, e dei molteplici personaggi le cui vite si sono intrecciate o si intrecceranno alla sua.



"Mi è stato detto che le cose vanno sempre come devono andare: mia nonna si innamorò tre volte prima del suo diciannovesimo compleanno. Mia madre trovò l’amore in un ragazzo del vicinato quando aveva sette anni. E io, io sono nata con le ali, uno scherzo della natura che non ha mai osato aspettarsi niente di grandioso come l’amore. È il nostro fato, il destino a decidere certe cose, giusto? Forse era soltanto una frase che dicevo a me stessa. Altrimenti, che cos’altro restava a un’aberrazione, un’intoccabile, una disadattata come me? Che cosa potevo dirmi quando ero sola di notte e arrivavano le ombre? Come potevo calmare il battito del mio cuore, se non con le parole: - Questo è il mio destino - ? Che cos’altro potevo fare, se non seguire ciecamente il cammino che era stato tracciato per me?"   

(Tratto da "Lo straordinaio mondo di Ava Lavender")

Le vite dei Lavender sono segnate dall'amore, di qualsiasi forma: quello familiare, quello tra amanti e quello tra amici; un amore che non sempre è puro e a lieto fine, ma a volte inganna e ipnotizza e scava nel petto una voragine che è impossibile da colmare. E' un amore che si presenta sotto mentite spoglie o che travolge come un fiume in piena, ma a volte è semplice lussuria travestita da amore, che può ferire e far male più di una spada.
Nel corso della narrazione le diverse sfaccettature di questo sentimento sono descritte con una tale crudezza e realismo da risultare dolorose. Spesso mi sono sentita sopraffatta dall'angoscia dei personaggi, pervasa dalla stessa amara e disillusa consapevolezza che l'amore come quello delle favole non esista.
Eppure, nello straordinario mondo di Ava, l'amore vero, quello che tutti anelano, esiste, anche se non è facile da trovare. Ed è un amore che salva la vita, un amore che dà un senso a tutto, che conforta e incoraggia, è un amore che mette al primo posto l'altro piuttosto che se stesso.

"[Mia madre] si preoccupava che io fossi un'adolescente come tante, dal cuore tenero e dalla personalità fragile. Si preoccupava che fossi più mito e immaginazione che carne e ossa. Si preoccupava dei miei livelli di calcio, dei miei livelli di proteine, persino dei miei livelli di lettura. Si preoccupava di non potermi proteggere dalle tante cose che l'avevano ferita: la perdita, la paura, il dolore e l'amore.
Soprattutto l'amore."


(Tratto da "Lo straordinario mondo di Ava Lavender")

Lo stile narrativo di Leslye Walton è diretto ed efficace, grazie all'uso di metafore vivide e coinvolgenti, che proiettano il lettore in un universo magico eppure realistico. 
Questo romanzo trabocca di sentimenti forti, che rischiano di sopraffare chi vi si immerge con la loro intensità. Ma sanno toccare l'anima e infondere un senso di speranza, nonostante tutto il dolore narrato. 

Mi fermo qui con la recensione perché non voglio rivelare nulla. So che in effetti ho detto pochissimo, ma fidatevi, è meglio così. I personaggi e gli eventi sono così intrecciati tra loro che anche solo rivelarvi qualcosa sarebbe uno spoiler clamoroso.
Vi lascio con il consiglio di leggere questo libro e rileggerlo e rileggerlo, e magari di regalarlo a qualcuno. "Lo straordinario mondo di Ava Lavender" è una favola per adulti, brutale nella sua intensità, ma allo stesso modo dolce e vera, adatta a maschi e femmine, adulti e adolescenti. Leggetelo e non ve ne pentirete.

Voto 9

Promosso


mercoledì 18 marzo 2015

Recensione de "La fabbrica delle meraviglie" di Sharon Cameron

Cari lettori, la recensione di oggi riguarda "La fabbrica delle meraviglie", primo volume di una trilogia, scritto dalla talentuosa Sharon Cameron, che nel 2009 ha ricevuto il Premio Sue Alexander come Scrittrice più promettente di New York dall'Associazione degli Scrittori di libri per ragazziPremio più che meritato, aggiungerei. 

Trama: In una notte di nebbia Katharine arriva in una misteriosa tenuta vittoriana con l'incarico di controllare che l'eccentrico zio Tully non stia dilapidando il patrimonio di famiglia. Convinta di incontrare un uomo sull'orlo della follia scopre invece che lo zio è un geniale inventore e sostenta una vivace comunità di persone straordinarie come lui, salvate dai bassifondi di Londra. Aiutato dal giovane e affascinante Lane, Tully realizza creazioni fantasmagoriche: pesci meccanici, bambole che suonano il pianoforte e orologi dai mille ingranaggi. Ma Katharine comprende ben presto che una trama di interessi oscuri minaccia il suo mondo pieno di meraviglie e, forse, il destino di tutta l'Inghilterra.

La mia recensione:

Una Londra vittoriana, una villa misteriosa e piena di segreti, una protagonista tormentata, divisa tra cosa è giusto e cosa è vantaggioso per lei, sono gli ingredienti ideali per un libro "come piace a me", che m'incateni alle sue pagine e mi ossessioni fino a quando non è finito.

"Fu come trovarsi nella direzione sbagliata, come se correndo fra gli orologi mi fossi in qualche modo spostata all'indietro anziché in avanti, in un posto che non mi voleva. [...] Vidi anche due occhi neri che scintillavano in un viso pallido che fluttuava sopra la mia spalla. Gridai, mi tappai la bocca con una mano e mi voltai, mentre un grido si rivoltava beffardo riecheggiando contro di me." 


(Tratto da "La fabbrica delle meraviglie")

Katharine Tulman vive a Londra con la zia Alice, una donna egoista e leziosa, che la tratta più come una sua sottoposta che come una nipote. Quando la manda a verificare le condizioni della tenuta di Stranwyne, futura eredità del suo unico figlio, Katharine non ha altra scelta che obbedire: in quanto orfana e donna nubile sa di non poter sopravvivere senza il sostegno economico della zia ed è pronta a mettere da parte le sue opinioni personali per accontentarla. Tutto ciò che dovrà fare, le dice zia Alice, sarà pernottare a Stranwyne per qualche giorno e confermarle lo squilibrio mentale dello zio Tulman, attuale padrone della tenuta, per rinchiuderlo in un manicomio e prendere finalmente possesso dell'intero patrimonio di famiglia.

-Katharine- aveva detto mia zia. -C'è del lavoro da fare, per il quale credo tu sia la persona più adatta. "Sì, zia" avevo pensato. "Sono sempre la persona più adatta per i tuoi lavori. C'è una cameriera da rimproverare, un'altra collana da dare in pegno? O mio cugino Robert ha fatto qualcosa di sconveniente nel capanno degli attrezzi da giardino?" Soffiai sull'inchiostro fresco del libro mastro e posai la penna.
- Temo che tuo zio Tulman abbia perso il suo equilibrio mentale.
Aspettai, chiedendomi se mi avrebbe ordinato di aggiustare i meccanismi di una mente umana. 
(Tratto da "La fabbrica delle meraviglie")
Ma le cose si rivelano più difficili del previsto. Katharine si ritrova a soggiornare in una villa immensa, piena di oggetti antichi e di stanze dall'aspetto spettrale. Il personale domestico è disorganizzato e stranamente ostile, ogni membro del villaggio sembra riluttante a farle incontrare "il signor Tully", come hanno soprannominato suo zio.
Ma da ragazza ostinata quale è, Katharine riesce presto ad incontrare lo zio e resta assolutamente sbalordita da ciò che trova; quello che le era stato dipinto come un pazzo è in realtà un uomo geniale, che vive in un mondo tutto suo, fatto di numeri e macchinari complessi e una vita scandita dai rintocchi degli orologi e pause per il té.

- Zio - lo interruppi - questo... l'hai fatto tu? - Lui tirava la stoffa della giacca, scuotendo la testa. - No, questo giocattolo no. Non tutti i pezzi. Io faccio solo i calcoli e i disegni. Poi Lane prende i disegni e mi riporta i pezzi e io li metto insieme finché non sono come dovrebbero. Ma questo giocattolo non è uscito dalla mia testa, no. E' venuto dalla testa di qualcun altro, anche se non mi hanno detto come.La piccola figura di mia nonna da bambina fece una pausa e ricominciò la canzone, mentre il volto di mio zio si illuminava.- Sto pensando di farti vedere con cosa sto giocando ora. Viene dalla mia testa, ogni singolo pezzettino. Lane? Lane! Facciamolo vedere alla mia nipotina.Fui aiutata a rialzarmi e ripartii a passo svelto in quello zoo, chiedendomi vagamente quanti dei giocattoli in mostra erano persone "andate via".
(Tratto da "La fabbrica delle meraviglie")

Lo zio Tully è in assoluto il mio personaggio preferito nel romanzo. Nonostante l'età avanzata, è come un bambino, sempre perso nel suo universo di giochi e di divertimento. Non ha la minima idea della genialità delle sue invenzioni, per lui sono soltanto uno svago e, nel caso delle bambole meccaniche, un modo per ricordare i propri cari scomparsi. Lo zio Tully ricorda con affetto la madre, Marianna, che lo amava esattamente per ciò che era, e nella nipote rivede alcune qualità, che gliela rendono gradita dal primo istante.
Katharine si lega presto a questo zio dall'animo e dalla mente infantili e comincia a sentirsi in colpa per il piano di sua zia; il solo pensiero di suo zio, così affezionato ai suoi giochi e alla sua routine, rinchiuso in un manicomio, le spezza il cuore.

- Immagino - disse Lane dopo un po' - che per lei debba essere... sbagliato mentire a sua zia.- Risposi con un'esclamazione incredula e lui allungò un braccio e mi strattonò per fermarmi, costringendomi a voltarmi. - Allora perché non vuole mentire? Perché? Lei capisce suo zio! Meglio di me che mi occupo di lui da quando ero bambino. Se non vuole farlo per noi, allora, per l'amor di Dio, lo faccia per lui! - La sua voce risuonò contro il legno, il vetro e gli stucchi dorati. Aspettai che l'eco morisse prima di parlare.- Mia zia scoprirà la verità e porterà via zio Tully, qualsiasi cosa io dica. E anche Stranwyne. E se scoprisse che le ho mentito... Quando scoprirà che le ho mentito... mi lascerà in mezzo alla strada senza pensarci due volte. - Divincolai il braccio. - Non posso tenere zio Tully fuori dal manicomio e non posso tenere gli abitanti dei Borghi fuori dall'ospizio dei poveri. l'unica persona che forse posso salvare è me stessa. - Mi spinsi in avanti e mi allontanai da lui. Non ero Giovanna D'Arco. La sua voce mi giunse molto vicina. [...]- Menti per lui - disse. - Per favore, Katharine.
(Tratto da "La fabbrica delle meraviglie")

Un altro personaggio che ha catturato la mia attenzione è Lane, l'assistente dello zio Tully, un diciottenne di origini francesi, taciturno e misterioso. E' un artista molto abile, sa ricreare alla perfezione i modelli disegnati dal suo padrone e si preoccupa sempre di farlo felice.
All'inizio, quando Katharine arriva alla villa con l'obiettivo di distruggere la vita dello zio e di tutti quelli che lavorano per lui, Lane la tratta con freddezza ed evidente antipatia, ma poi impara a conoscerla e capisce che l'affetto della ragazza verso lo zio è sincero. Tra i due scatta un'intesa che potrebbe diventare qualcosa di più.
Ammetto che Lane è un personaggio difficile da decifrare. "Cosa sta pensando?", mi sono chiesta spesso. Lo paragonerei un po' al Signor Darcy di "Orgoglio e pregiudizio", se mi si passa il parallelo, perché ho rivisto in lui la stessa diffidenza e la stessa riservatezza, che pian piano sono evaporate per far posto a un rapporto onesto e fiducioso con la ragazza che fino a poco prima era tanto detestata. 

A complicare il soggiorno di Katharine a Stranwyne non sono solo i sensi di colpa verso lo zio o il rapporto conflittuale con Lane e i domestici. Strane cose accadono nella tenuta: misteriose risate, oggetti scomparsi e ricomparsi come per magia e, soprattutto, preoccupanti episodi di sonnambulismo e di perdita di memoria che fanno temere a Katharine per la propria salute mentale. Che il gene della follia sia ereditario?

Raddrizzai la schiena, rabbrividendo nella camicia da notte fradicia, anche se non ero certa che il tremito dipendesse dal freddo. - Zio - dissi lentamente - puoi dirmi... perché mi trovo qui?
Zio Tully si accigliò. - Tu sei confusa, nipotina. A volte la gente si confonde. Dimentica, commette degli errori. Tu hai dimenticato le scale.
Mi circondai con le braccia, cercando di smettere di tremare. - Ho dimenticato le scale?
- Sì! - Gli occhi di mio zio erano due punti azzurri nel buio. - Volevi scendere e ti sei dimenticata le scale. E non volevi ricordare. E poi ti sei messa a dormire e non ti svegliavi. Ti sei confusa. [...] 
Solo in quel momento colsi appieno l'orribile verità: se zio Tully non fosse stato lì, ad ascoltare ciò che gli dicevano gli orologi, il mio corpo sarebbe stato un mucchio d'ossa rotte sul pavimento della cappella. E non sarebbe stata colpa di nessuno, se non mia.
 

(Tratto da "La fabbrica delle meraviglie")

Leggere questo romanzo è stata un'esperienza meravigliosa. La scrittrice ha uno stile chiaro, ma complesso, ricco di descrizioni dettagliate che ti trascinano lentamente nel vortice della narrazione. Sharon Cameron ha creato questo piccolo mondo nel mondo, colorato e folle, pieno di personaggi misteriosi e accattivanti, che non sai se amare oppure odiare. 
E' quasi come essere nel Paese delle Meraviglie, con un Cappellaio Matto per zio, una cameriera chiacchierona e sorridente come uno Stregatto e lunghi corridoi di porte che nascondono formule segrete e macchinari complessi. Come Alice, Katharine dovrà trovare se stessa in mezzo alla follia e imparare che non sempre ciò che appare normale lo è e viceversa.
Se cercate il mistero, la follia e un'atmosfera neogotica tipicamente vittoriana, questo è il romanzo che fa per voi. L'unica pecca, se proprio devo trovarne una, è che stiamo parlando di una trilogia, dunque il finale è aperto e vi toccherà aspettare il prossimo libro per saperne di più.

Voto 8 1/2

Promosso





giovedì 5 marzo 2015

Recensione di "Questioni di pratica", di Julie James

Care lettrici e cari lettori, dopo alcune settimane di assenza torno sul blog per una nuova recensione. Il libro in questione è adatto per lo più ad un pubblico femminile, ma questo non significa che non possa interessare ai maschietti. Leggere questo romanzo è stato piacevole e divertente e, soprattutto, un'utile distrazione in un periodo così stressante e pieno di impegni. Se vi interessa saperne di più, leggete la recensione.





Trama:

Payton Kendall e J.D. Jameson sono avvocati dello stesso studio. Femminista convinta, Payton ha lottato per avere successo in una professione dominata dagli uomini. Ricco e presuntuoso, J.D. ha fatto del suo meglio per ignorarla. In pubblico sono inappuntabili. Devono esserlo. Per otto anni si sono tenuti a distanza di sicurezza e si sono tollerati solo per una ragione: riuscire a diventare soci dello studio. Tutto però cambia quando viene chiesto loro di collaborare a un caso importante. Costretti a lavorare gomito a gomito, si scoprono presto invischiati in un’insidiosa attrazione, ma l’offerta a cui più ambiscono verrà fatta a uno solo: la competizione si fa rovente e la battaglia dei sessi ha inizio…


La mia recensione:

In questi mesi ricchi di impegni universitari, esami e feste di laurea, è stato molto difficile dedicare del tempo alla lettura. Sono riuscita a ritagliarmi solo uno spazietto nel weekend, alcune settimane prima di un esame, desiderosa di immergermi in un libro leggero e romantico, che mi facesse ridere e sognare per qualche oretta.

"Questioni di pratica" è risultato perfetto per le mie esigenze. Non troppo lungo né pesante, è riuscito a regalarmi qualche attimo di relax con le sue scene comiche e le sue battute sferzanti.

Come suggerisce il titolo, la storia segue il rapporto burrascoso di due avvocati, Payton e J.D, che lavorano per la stessa azienda da otto anni e che nutrono una reciproca antipatia. 
Entrambi indossano una maschera di cortesia quando sono in presenza d'altri, maschera che cade appena si ritrovano da soli. 
Payton crede che lui sia arrogante e maschilista, J.D la ritiene una femminista polemica e rompipalle e non hanno timore di dirselo quando ne hanno l'occasione.
La cosa più assurda è che entrambi non hanno idea di come sia iniziata questa faida.

- Penso che tu sia un bastardo sessista, borghese e supponente, di quelli che pretendono ancora che la moglie porti il loro cognome. J.D. le afferrò la mano e gliela scostò. - Almeno non sono una feminazi testarda e manipolatrice, convinta che casalinga sia una parolaccia!
 (Tratto da "Questione di pratica")

Tutto cambia quando il loro capo li costringe a lavorare insieme su un caso importante. Il nuovo cliente è un pezzo grosso che non si lascia abbindolare dai soliti trucchetti da avvocato. Durante una cena di lavoro, l'uomo chiede loro di descrivere l'uno i pregi dell'altro, per capire se siano davvero la squadra migliore che si possa avere.
Questa richiesta, per quanto piccola, sconvolgerà completamente il loro rapporto, sarà come una palla di demolizione che darà il primo colpo al muro che li separa.
Payton è costretta ad essere onesta, a mettere da parte i rancori personali per dipingere J.D. al meglio: è un gran lavoratore, uno dei migliori nel suo campo, brillante e intuitivo.
La gentilezza di quelle parole sconvolge profondamente J.D. ed è come se la corazza che si sente obbligato ad indossare non fosse più necessaria. Non gli pesa riconoscere a sua volta i meriti di Payton e si percepisce da subito la nascita di un'intesa nuova.
Nel corso della narrazione, i due dovranno affrontare numerosi ostacoli, derivati soprattutto da molti malintesi e dal loro atteggiamento un po' infantile. Entrambi sembrano aspettarsi sempre il peggio l'uno dall'altro e non esitano a farsi dispetti per primeggiare.
Ma le parole gentili di quella cena li perseguiteranno per tutto il tempo, e a poco a poco impareranno a mettere da parte l'orgoglio e i rancori, a chiedere scusa quando necessario e a lavorare come una vera squadra.

- E' colpa di questo lavoro - Payton stava guardando fuori dalla finestra e, udendo la sua voce, si voltò verso di lui. - Litighiamo con la gente... ecco cosa facciamo. Ideiamo strategie contro gli avversari, cerchiamo di giocare sempre la mano vincente. A volte faccio fatica a staccarmi da tutto ciò - Si girò verso Payton e la guardò dritto negli occhi. - Sono stato molto scortese con te al ristorante. Ti devo delle scuse.  Colta di sorpresa, Payton dapprima non disse nulla. Lui continuava a fissarla senza battere ciglio. Aveva due occhi azzurri davvero fantastici. Payton non sapeva spiegarsi per quale motivo avesse formulato quel pensiero. Annuì. - Okay.                                    J.D. sembrava pronto ad affrontare una reazione ben peggiore. - Okay - disse, e le parve di vederlo sospirare di sollievo. Poi sorrise. Un sorriso sincero. 
(Tratto da "Questione di pratica")

Man mano che si conoscono, diventa sempre più difficile per loro odiarsi. Payton capisce che J.D. non è affatto un figlio di papà, viziato e privilegiato, ma che, anzi, fa di tutto per allontanarsi dalla figura schiacciante del padre, giudice severo e rispettato, per costruirsi una carriera meritata e non ottenuta per nepotismo.
E J.D. si rende conto che Payton è una donna dolce, oltre che forte, cresciuta con una madre dallo spirito rivoluzionario, che le ha insegnato a non fidarsi degli uomini e a combattere sempre per ciò che le sta a cuore. Alla fine, viene alla luce il motivo della loro reciproca antipatia e, anche se non vi dirò qual è, ha dell'incredibile.

Ho apprezzato davvero questo libro, che nella sua semplicità mi ha regalato tanto: prima di tutto, che se ci aspettiamo sempre il peggio dalle persone non riusciremo a vederne il meglio e, poi, che a volte l'orgoglio va messo da parte ed è bene chiedere scusa per primi.
Lo stile dell'autrice è lineare ed efficace, i personaggi sono descritti con bravura e sono così realistici che mi sembra proprio di averli incontrati di persona. Non mancano scene divertenti e imbarazzanti che lo rendono ancora più gradevole nella lettura. 
Se sentite il desiderio di un libro poco impegnativo, con dialoghi coinvolgenti, che vi facciano ridere, questa è la storia che fa per voi.


Voto: 7 e 1/2

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